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Il fungo porcino detto anche “brisa”

Il territorio Trentino è denso di boschi, che coprono quasi due terzi dell’intera superficie provinciale. Per secoli gli abitanti degli insediamenti trentini hanno beneficiato dell’abbondanza e della varietà delle risorse forestali per il proprio sostentamento. In particolare, in passato la raccolta dei funghi e la loro vendita potevano garantire guadagni significativi, tanto che durante i periodi di maggior crescita alcune persone se ne dedicavano a tempo pieno. A questo proposito, a Vigolo Vattaro si ricorda la vicenda di una donna del paese  che,  dopo  un’intera  stagione  passata  a  vendere  al  mercato brise, finferli e more raccolte  in quantità, riuscì a comprarsi addirittura un’automobile nuova (una Fiat 500 dei primi anni ‘60)! Certo ora i tempi sono cambiati: i funghi si raccolgono più per piacere che per necessità di sostentamento, anche perché nel frattempo in Trentino è entrato in vigore il limite di raccolta di 2kg a testa al giorno di prodotto fresco, una quantità che sicuramente non basterebbe ad arricchire il cercatore.

Ma è corretto chiamare “funghi” ciò che raccogliamo e sistemiamo nella cesta? In realtà preleviamo solo una parte dell’organismo fungino, mentre il resto vive e si sviluppa sotto terra, o in altri substrati come il legno vivo o le ceppaie marcescenti. La parte che non vediamo prende il nome di “micelio” e si presenta solitamente sotto forma di sottili filamenti bianchi. Ciò che raccogliamo rappresenta invece la sola parte riproduttiva del fungo, lo “sporoforo”, il quale con il passare del tempo maturerà le spore, che a loro volta consentiranno la nascita di un nuovo organismo fungino.

Il fungo porcino detto anche “brisa”

Tra i funghi più conosciuti ed apprezzati dai cercatori – e anche da chi poi li mangerà! – ci sono indubbiamente i porcini, o brise in dialetto trentino. Con il nome volgare di “porcini” in realtà si indicano non una, ma ben quattro specie distinte di funghi. Tra queste, una non si trova alle nostre latitudini, essendo invece frequente in ambienti termofili come al centro e al sud Italia, dove le temperature sono mediamente più alte. Si tratta di Boletus aereus o “bronzino”, chiamato così per la colorazione molto scura del cappello (da marrone fino quasi al nero), che ricorda le tonalità del bronzo.

Delle tre specie che si possono trovare nel nostro territorio, la più conosciuta e ricercata è probabilmente Boletus edulis. Si tratta di un fungo molto comune, che predilige i boschi umidi di conifere e di faggio; cresce più abbondante durante la stagione autunnale, quando il clima è fresco, ma si può trovare anche a dicembre! Si riconosce dalle altre specie per la cuticola del cappello tipicamente untuosa e rugosa. L’aspetto e le dimensioni sono invece molto variabili, anche se negli esemplari più tipici si evidenzia un gambo bello robusto, con un reticolo più chiaro rispetto al colore di fondo, e un cappello con diverse tonalità di bruno.

Un altro porcino che predilige le temperature delle mezze stagioni è il Boletus pinophilus, o brisa mora in dialetto trentino. Spesso infatti è il primo a comparire nei boschi trentini a maggio-giugno, mentre durante l’estate è più raro se non ad altitudini elevate, e infine riappare a settembre-ottobre quando il clima ritorna più umido e fresco. Il nome pinophilus suggerisce una crescita in pineta, che infatti è tipica anche se non esclusiva: questa specie si può infatti trovare anche in boschi di abeti o sotto faggi, castagni e betulle. Si distingue facilmente dagli altri porcini per il colore bruno-rossastro della cuticola del cappello, piuttosto umida e rugosa. Il gambo, tipicamente sodo e panciuto, passa da un colore biancastro nel giovane al bruno-rossastro negli esemplari adulti.

A completamento della triade di porcini trentini troviamo infine Boletus aestivalis. Come si intuisce dal nome, questa specie predilige i mesi estivi e in generale un clima più caldo e secco rispetto alle due descritte in precedenza. Un’altra differenza riguarda l’aspetto generalmente più slanciato, con un gambo di solito più esile e di color nocciola chiaro, dotato di un reticolo lungo quasi tutta la superficie. Tuttavia la distinzione più importante si osserva nella cuticola del cappello che, anziché vischiosa, si presenta asciutta e finemente vellutata. Negli esemplari adulti che hanno subito condizioni di tempo secco, spesso questa cuticola si screpola, lasciando intravedere la carne bianca sottostante. Infine, la consistenza della carne passa da soda nel giovane a piuttosto molle negli esemplari più vecchi, purtroppo frequentemente invasi da larve. L’habitat preferito da B. aestivalis sono i boschi caldi di latifoglie, ma a volte si può trovare anche in quelli di conifere.

I funghi in generale, e i porcini in particolare, hanno una caratteristica comune, che in alcuni casi può mettere in difficoltà anche i micologi più esperti: la variabilità tra diversi esemplari appartenenti ad una medesima specie. Questa mutevolezza in termini di dimensioni, proporzioni e colori si riscontra spesso anche considerando un solo esemplare, nell’arco della sua evoluzione da primordio a sporoforo maturo. A questo proposito, durante la loro crescita i porcini passano generalmente da un gambo panciuto, con il cappello involuto e i pori bianchi, a un cappello più spianato, con pori dapprima gialli e poi verde oliva.

Il sapore del porcino e come esaltarlo

Delle tre specie che crescono in trentino, la più saporita e gustosa è B. aestivalis, seguita da edulis ed infine da pinophilus. Quest’ultima regala però grandi soddisfazioni quando si presenta in esemplari panciuti e molto sodi!

Come trasformare dunque i ritrovamenti del bosco in pietanze saporite? La tradizione trentina vuole le brise trifolate in padella con olio, eventuale aglio e una spolverata di prezzemolo a fine cottura. L’acqua contenuta in grande quantità nei funghi dovrà evaporare, con il risultato che a cottura ultimata ci sembrerà di averne raccolti pochi, ma è normale. In altre regioni, come in Toscana, si consumano i cappelli tagliati a fette, impanati e fritti. Gli esemplari più piccoli e giovani si prestano bene al consumo da crudi, tagliati a fettine sottili nel senso dell’altezza, e conditi con un filo d’olio, sale, una spolverata di pepe e scaglie di grana come fosse un carpaccio. In quest’ultimo caso è bene non abusarne, a qualcuno potrebbero risultare indigesti: questo non è dovuto a sostanze tossiche, quanto alla struttura chimica dei funghi, che contengono la chitina (difficile da digerire specialmente se i funghi sono consumati da crudi).

Con gli esemplari più piccoli e giovani si possono anche preparare dei deliziosi sottoli, bollendo in acqua e aceto i funghi tagliati a pezzi, assieme a qualche foglia di alloro, aglio in spicchi, sale e grani di pepe. Dopo una decina di minuti dalla ripresa del bollore, si scolano i funghi e si lasciano asciugare per bene una notte tra un canovaccio, assieme agli aromi. Il giorno dopo si possono sistemare assieme all’alloro, aglio e grani di pepe in vasetti di vetro precedentemente sterilizzati, senza schiacciarli e coprendoli con olio extra vergine di oliva. Si lasciano qualche settimana nel vasetto in modo che si insaporiscano, ed eccoli pronti al consumo!

Nicola Tamanini

Micologo da sempre innamorato delle nostre montagne, dei boschi che le ricoprono e delle sorprese che vi si possono trovare. La passione per i funghi è nata quando ero piccolo, e non accenna a svanire!
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