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Girovagando fra le radici di un recente passato

Visita al Museo Etnografico “TARCISIO TRENTIN”

In Valsugana, nell’abitato di Telve di Sopra, si trova uno dei musei etnografici più interessanti e ben fatti che abbia visto. Il museo raccoglie oltre 2.000 oggetti, pezzi di vita del recente passato di una terra, quella valsuganotta, dove qualsiasi lavoro era spesso fatto manualmente, con grande sforzo e sacrificio, con il sudore della fronte e mani vigorose segnate da profondi calli. Solamente l’ingegno poteva alleviare queste grandi fatiche, per questo furono creati in quegli anni molti attrezzi che sono presenti in grande quantità nel museo, dove alcuni sembrano ora magari rudimentali ma che  diedero poche decine di anni fa, un grande supporto per aiutare a vivere meglio in un’epoca fatta di poche cose, molta povertà e lavori spesso gravosi.

E’ stato possibile realizzare questo interessante e sorprendente viaggio all’interno della vita di un recente passato, grazie alla grande donazione, nella quasi totalità degli oggetti presenti, da parte del signor Tarcisio Trentin. Un gesto generoso ma ha voluto donare la sua enorme collezione al suo paese, ai suoi paesani, perché rimangano le tracce e testimonianze di un passato che non va dimenticato ma deve essere motivo di una presa di conoscenza, essere consapevoli delle proprie radici e tradizioni,  conoscere il passato per capire il presente, chi siamo.

All’interno del museo

Appena entrati dalla porta del museo, si nota immediatamente il pavimento in legno, come “quelo de sti ani” (quello usato nei primi anni del 900), si nota un muro tirato con malta grezza e una piccola finestra. Risaltano anche gli stipiti all’ingresso delle varie sale da visitare, questi sono fatti con un  tronco di un albero  che è pieno di grossi bozzi, davvero molto particolare.

Quando ci si incammina subito c’è un lungo corridoio dove è impossibile non guardare gli attrezzi  che sono sulla nostra sinistra, quelli che si utilizzavano nel mondo del legno, maneggiati dal boscaiolo al falegname, dal costruttore di botti, ruote dei carri. Attrezzi per fare le “scandole”, le famose tegole in legno che ancora si usano in qualche baita di montagna, oppure quello per farei chiodi di legno che venivano utilizzati principalmente per assemblare mobili e serramenti.  Questi oggetti appartengono a un’epoca che parte da circa dall’800 per arrivare quasi agli anni recenti del secondo dopoguerra.

Alcuni strumenti, anche se pensati molti decenni fa, in alcuni casi vengono ancora utilizzati o si possono trovare in qualche cantina. In questa carrellata di strumenti a volte curiosi, non può mancare qualche domanda all’addetto del museo che spesso, nello spiegarci l’utilizzo dell’attrezzo ci spiega anche qualche aneddoto del perché si usava o del come sono arrivati a costruirlo, strappando spesso degli sguardi di stupore.

Stanze piene di vita

Sempre lungo il corridoio, ma sulla destra,  notiamo con particolare interesse le diverse stanze che rappresentano quelle presenti nelle case “de sti ani” ( degli anni passati), ricreate con una cura certosina e dove sembra di entrare nella casa dei nostri nonni, bisnonni, un recente passato ma ormai così lontano. La cucina, la camera da letto, si capisce quanto sia cambiato il mondo in pochi anni, questo ci fa riflettere e pensare prima di tutto a quella vita fatta di povertà,  di poche cose che venivano considerate preziose, del recuperare e usare qualsiasi cosa al meglio, della mancanza di confort, con un guardaroba magari formato da solo un vestito vero che si metteva la domenica o nei giorni di festa. Andiamo avanti qualche metro ed ecco la stanza dedicata alla scuola dove subito ci piace osservare un vecchio banco in legno delle elementari, poi i libri.

Strani e semplici anche i giochi per i bambini, guardandoli la nostra immaginazione inizia a viaggiare e disegnano nella nostra mente questi bambini che vi giocavano oppure a come potevano far stare gli alunni su quei banchi di scuola che sembrano così scomodi.

Dentro la vita lavorativa dei nostri antenati

Il corridoio è finito e si apre come una piccola piazza con diversi archi, porte, che ci accompagnano dentro la vita dell’agricoltore o artigiano, ad esempio del malgaro o del muratore, dell’imbianchino. Gli attrezzi si susseguono sempre curiosi e interessanti come quello che  raccoglieva e sgranava il granturco, lo pesava, i carri che servivano per portare il legname dalla montagna fino alla valle, gli aratri che sembrano quasi precari, consumati, alcuni rotti, ma ci ricordano che solcavano la terra aspra e dura della Valsugana. Facevano bene il loro dovere con la forza di un cavallo o animale da tiro ai quali venivano fissati, grazie a loro si riusciva a coltivare la terra e a dare da mangiare alla popolazione.

Altra stanza che ci è piaciuta molto è quella dedicata a chi faceva il vino, alla vendemmia, la grappa o liquori, altra importante fonte di sostentamento agricolo della Valsugana. Nella stanza del muratore ci hanno colpito gli stampi che servivano per fare a mano i mattoni (non c’erano le macchine, si faceva tutto a mano), abbiamo pensato per un istante a quanti dovevano servirne per fare una casa e quanto tempo serviva per realizzarli. Sbalorditivo.

C’è poi uno spazio dedicato uno ai residui della grande guerra dato che qui si è combattuta e consumata una parte della prima guerra mondiale, essendo la Valsugana terra di confine con l’Italia. Ultima stanza ma non sicuramente per importanza, quella dedicata alla montagna, dove si riproduce in maniera fedele l’interno di una piccola malga con annessa zona per la produzione del formaggio con oggetti particolari come il paiolo e relativo supporto con la mescola, per fare la “mose” cioè la polenta molle, molto morbida, mangiata con il latte.

Camminare con il legno ai piedi

Un oggetto che ci ha impressionato alla fine della visita, son state le “drambe” “Dambare” “giarele” , tanti modi dialettali per definire le scarpe con suola in legno e chiodi. Immaginate cosa voleva dire andare in montagna, camminare per strada, con calzature di questo genere, eppure si facevano e usavano fino al secondo dopoguerra. Spesso venivano recuperati gli scarponi dei soldati che erano sparsi sul territorio, con la suola consumata o rovinata, cosi veniva recuperata la tomaia e messa la suola in legno. Di solito si utilizzava il faggio, si ammorbidiva con l’acqua così da poter inserire i chiodi perché se non si inumidiva i numerosi chiodi potevano spaccare il legno. Si recuperava tutto per riutilizzarlo e renderlo utile alla vita quotidiana.

Museo che vi consigliamo di visitare. Le guide sono molto gentili e preparate, con noi c’era Sergio Trentin, che con il suo immancabile pizzetto e baffi a manubrio,  in maniera semplice e a volte divertente, ci ha spiegato l’utilizzo di certi attrezzi per noi misteriosi facendoci rivivere alcuni momenti della vita di quel tempo, ci ha fatto capire gli usi e costumi del nostro passato. Museo bello e interessante, molto curioso, ti porta a riflettere e pensare alla vita dei nostri nonni, bisnonni, ai nostri avi. Ci fa capire il presente grazie a quanto fatto nel passato, ci porta alle nostre radici dove il poco in realtà era tanto, era tutto. Qui si potrà capire che con l’ingegno ed esperienza, si  migliorava in maniera importante la vita delle persone, usando quelle poche cose che avevano a disposizione.

Flavio Girardelli

La montagna da sempre accompagna la mia vita, il cuore vive fra i suoi boschi e spazi, nella sua natura, nei suoi silenzi o colori, i suoi profumi. Adoro quello che riguarda la storia, il passato e presente del territorio abbracciato al Lagorai. Amo creare, sognare, raccontare. Mi piace scrivere, questo per passione o forse, perché, il dettaglio che vive fra le mie impronte si ribella e vuole cercare di diventare con l'inchiostro un’emozione.
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